Roachford intervista Il Gazzettino 1994

Pubblicato il 19 ottobre 2025 alle ore 16:47

Milano
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Andrew Roachford è passato da Milano per tenere una conferenza-stampa e un mini-show al Village Rock Café, trasmesso in diretta da 101 Network. Il musicista e cantante nero inglese, leader dell'omonima band, è uno dei più bravi "performer" della nuova generazione, nata alla fine degli anni Ottanta. Tre album in sei anni sono garanzia di serietà d'ispirazione. Il recente "Permanent shade of blue" prosegue un discorso musicale molto aperto, in cui il rock, stemperato nei colori del soul, indica la strada, ma senza fare chiasso.
"Il suono rock - spiega Andrew - ha sempre avuto un ruolo importante nella mia ispirazione, sia in studio sia negli show. Il nuovo album, probabilmente, caratterizza maggiormente questo indirizzo, grazie anche alla quasi completa auto-produzione delle canzoni". I brani, musicalmente sempre originali, trattano di attualità e socialità, anche se Roachford rifiuta l'etichetta di artista "politico" tout court.
"La mia generazione - continua - è probabilmente la prima che affronta la discriminazione razziale in maniera non conflittuale. Lo spiego in "I know you dont' love me", che ricorda una chiacchierata a tavola in famiglia... Il paragone va fatto con gli Stati Uniti di alcune decenni fa, nel momento in cui i neri incominciavano ad accedere a posti di potere, e di prestigio, tipicamente bianchi. Penso ai politici, ai direttori di banca, agli uomini d' affari. In Inghilterra, questa metamorfosi sta accadendo solo adesso, perché l'immigrazione dalle Colonie è più recente".
A proposito di conquiste e conquistati, i Roachford, che ricordiamo in un altro piccolo show a Sanremo anni fa, tentano ciclicamente di "invadere" musicalmente gli Stati Uniti, così come, più modestamente, stanno facendo nel nostro Paese. "Il "mercato" americano è affascinante - conclude Andrew - ma difficile da aggredire. Bisogna fare tantissimi spettacoli nei club, suonare i dischi nelle stazioni radio giuste, cioè quelle specializzate. Il nostro problema è che non suoniamo un genere musicale facilmente definibile, come il rock, il soul, il jazz o il country. Chissà, forse la nostra diversità ci consentirà di distinguerci. Siamo una band aristocratica? Non credo. E' vero che non ci lamentiamo del nostro attuale successo, ma suonare in uno stadio pieno di folla non ci dispiacerebbe di certo!".
Bruno Marzi

 

Foto non mia ma le ho... DI sicuro.

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