Di Bruno Marzi
Sono inglesi ma per raggiungere il successo si sono trasferiti negli Stati Uniti. La loro forza sta nel gruppo. Non esiste un leader o un capo carismatico
Tutti per tutti
È IL BATTERISTA dei Supertramp. Si chiama Bob Siebenberg. Non è stato precisamente il «fato» a farlo ritornare in Italia, a tre anni di distanza dalla prima visita, per parlarci del nuovo disco dei Supertramp, «Famous Last Words...", pubblicato a tre anni di distanza da "Breakfast in America». “Sono stato delegato dalla band a venire in Italia su mio espresso invito. Io sono un grande appassionato di motociclette, e possiedo una Guzzi. Tre anni fa andai a visitare la fabbrica della mia moto, ad Arcore, credo. Poi mi piace molto mangiare all'italiana, e ho lasciato da voi alcuni cari amici”. - Ci sono differenze tecniche tra questo album e i precedenti? "In fase di registrazione non abbiamo usato il sistema digitale, perché il suono viene troppo asettico, troppo classico. Tre di noi hanno messo in piedi uno studio a ventiquattro piste, con il miglior equipaggiamento tecnico possibile. E lo studio Unicorn, di Roger (Hodgson), a Nevada City, California, quattrocentoquindici miglia a nord di Los Angeles; noi siamo stati, logicamente, la prima band ad utilizzarlo, e credo che sia il miglior studio americano».
- Avete usato strumenti particolari? Che tipo di batteria?
“Si tratta di una Ludwig speciale, che mi sono disegnato apposta. Non sto ad elencarti le misure delle pelli ma si tratta di un'ottimo strumento tutto di legno, senza materiale plastico”. - Siete interessati al video disco, e ai filmati in genere?
“Non abbiamo ancora preso in considerazione la cosa, dato che ciò che più ci sta a cuore è la musica. Noi poniamo particolare cura nell'immagine "live" ma è probabile che, nel futuro, si possano utilizzare filmati, o videonastri, per creare particolari effetti».
Quanto è durata la registrazione di «Famous Last Words»?
“Ci siamo trovati con molto tempo a disposizione, dopo sei anni di duro lavoro, all'indomani della conclusione dell'ultimo tour, quasi due anni fa. Le registrazioni sono durate, in maniera discontinua, per diciotto mesi, da cui va tolto il periodo utilizzato per missare l'album live "Paris"». -Nell'album cantano anche le due sorelle Wilson, leaders degli «Heart». E prevista anche una collaborazione in tournée?
“No, no... costerebbero troppo! Sono care amiche, ma è stata solo una collaborazione”.
- Penso che sia difficile scrivere buon materiale nuovo per chi ha fatto canzoni come «Dreamer», o «The Logical Song» o «Give a Little Bit»: è un problema reale, o avete ancora nuove idee?
“Non ci creiamo problemi sulla qualità del nuovo materiale, dato che abbiamo fatto già parecchi dischi, senza dover subire pressioni esterne”. - Come riuscite a risolvere il problema del «leader», dato che il vostro look è privo di un personaggio che emerge sugli altri? “Non c'è tra di noi una personalità come Mick Jagger, ad esempio, o Phil Collins. Noi vogliamo progredire solo sul piano musicale, e la musica è la nostra prima immagine. Nel corso degli anni abbiamo coltivato una specie di scivolante e misteriosa immagine e la gente dimostra di amare il gruppo: è esattamente quello che intendevamo che succedesse. La nostra immagine è la qualità”.
Non pensate che il pubblico europeo ami un po' più di scena? “No, il pubblico europeo ci ha accolto bene così e così ci ama. La nostra è un'immagine naturale, non vogliamo darne una falsa”.
-In definitiva, come vi presentatein scena?
“Noi vogliamo che il pubblico esca alla fine dello show esclamando! Usiamo le luci per creare sensazioni. La musica crea percezioni che diventano sensazioni, che portano lontano la mente. Cosa pensate quando entrate in una grande cattedrale? Per noi è lo stesso!”.
- Quali sono state le ragioni del grande successo di «Breakfast in America»?
“Inizialmente, un buon sound per le radio. Normalmente, prima la gente ascolta una novità per radio. I "singoli", specialmente, andavano molto. bene per questo tipo di utilizzo. Penso che sia una ragione valida, poi penso che il disco avesse una buona alta fedeltà».
IL DISCO. “Famous Last Words” è un disco perfettamente registrato, con belle canzoni, infiorate da raffinatezze musicali incredibili. Dall' intero lavoro traspare la netta impressione di aver già ascoltato tutto. Il gruppo ha i reali mezzi (e lo dimostrerà sicuramente in futuro) per creare un sound capace di essere una rielaborazione dinamica di quanto c'era di buono nel rock degli anni Settanta. I presupposti tecnici indispensabili per certe operazioni ci sono: manca forse un po'... di coraggio. Nel marasma musicale di questi abbastanza oscuri tempi, «Famous Last Words» è un disco da non perdere. Canzoni come «Crazy», «It's Raining Again» e «Waiting So Long» sono piccole perle. Inoltre va sottolineata la brillante vena poetica di Rick Davies e Roger Hodgson, come afferma lo stesso Bon Siebenberg: “Roger ama scrivere sul suo passato: scuola, infanzia. Rick ama scrivere di altre cose, e una delle nuove canzoni, intitolata "Waiting So Long" parla delle future tendenze musicali. Poi si sofferma sui problemi sociali, e sulla guerra. Succede così che testi pessimistici siano innestati su musica ottimistica. Quello che ne viene fuori è il sound dei Supertramp”.
I SUPERTRAMP, per arrivare al «gotha» del rock mondiale hanno dovuto attendere che il grande business musicale americano si accorgesse di loro, e li imponesse con quel capolavoro, intitolato "Crisis? What Crisis?”. Sembra la favola della scoperta del Nuovo Mondo, quello che Bob chiama “una vera isola musicale”. E dire che, per un pelo, lo stesso colpo andò male alla nostra Premiata Forneria Marconi, attorno a quegli stessi anni ('74/75)!
A tre anni di distanza dal clamoroso successo di «Breakfast in America», i Supertramp hanno inciso «Famous Last Words» col quale tenteranno nuovamente la scalata alle zone alte della classifica
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