Prendo spunto dall'attualità, con le dichiarazioni di Elkann ("Investire in America farà bene anche all'Italia") che ricordano molto certe gag antiche. "Dottò, me fa male accà e me risponde accà... ". Una cosa del genere. Le innovazioni, se non comprese come possibilità, alla fine vincono ma diventano il cimitero del passato. Come spiegato bene dal romanziere Ken Follett ne "Le armi della luce" ("The Armour of Light"), la rivoluzione industriale inglese iniziò con la meccanizzazione delle tessiture, che inizialmente provocò, alla fine del 1700, tumulti e disperazione; poi, dopo dure lotte, arrivò un lavoro più leggero e migliori salari, e meno ore al telaio. La potenza e il benessere dell'Union Jack iniziarono dopo Waterloo, a grandi linee. Tralascio i salti intermedi. Alla fine del 1800 comparvero le prime "carrozze a motore", ovvero dei landeau modificati con dei piccoli motori che facevano raggiungere circa i 25 km all'ora. Si rifornivano in farmacia, che aveva il monopolio della benzina... La gente però si ostinava a dire che le carrozze a cavalli erano molto meglio, più sicure e confortevoli. Pochi sanno che attorno al 1840 in Francia si pensava già all'elettricità per la trazione quando le città andavano ancora coi lampioni a gas. Le carrozze si trasformarono in automobili, e negli anni Venti Henry Ford incominciò a pensare a un'auto, la futura Modello T, a basso costo perché frutto della prima catena di montaggio. Anche Hitler, giunto al potere, pensò all'auto per il popolo, il cui motore fu poi all'origine del successo di Ferdinand Porsche. La nostra Fabbrica Italiana Automobili Torino, la Fiat insomma, ha una storia più audace in pieno fascismo (come Elkann da Trump, insomma) sfornando anch'essa l'auto del popolo: la Topolino. Tralasciamo tutto, e ci sarebbe da dire parecchio.
Oggi la differenza tra carrozza a cavalli e a motore si chiama auto elettrica. Può essere la salvezza di tutto il comparto automotive, ma per circa quindici anni, con mezzi più o meno leciti, è stata osteggiata e resa antipatica ai possibili acquirenti. Ecco allora che la Fiat non esiste più al Lingotto o al Sud, l'indotto ha problemi grossi anche con la Germania (in crisi) e stabilimenti come Magneti Marelli perdono commesse importanti. Va detto chiaramente che la colpa di tutto ciò è dell'ottusita dei dirigenti, attenti solo al proprio portafoglio. Ma anche un po' nostra, che abbiamo perso l'appeal con l'auto come mezzo di trasporto privilegiato.
Può essere un bene (trasporti pubblici) o un male (crisi di vendite anche nell'usato ormai). Attenziò, popolaziò! Vi prego di confermare. I ragazzi non attendono più con ansia i diciotto anni per prendere la patente (al contrario della mia generazione) perché non credono più nella propria libertà e indipendenza e preferiscono lo smartphone. Questa è una ragione seria e diffusa in tutto il Pianeta. Gli adulti cercano solo lo status symbol, o presunto tale. I suv, gli ibridi, le supercar pagate a cambiali. Ecco allora che, invece di fare advertising intelligente verso i giovani per ricreare il bisogno di libertà, le Case automobilistiche se la prendono con l'elettrico, non facendo riconversione industriale e - come avrebbe detto Romano Prodi - perdendo il treno. Un po' come quando il nonagenario Vichi alla Mivar decise di continuare coi tubi catodici televisivi e non con l'lcd...
Io la vedo così. Sono tutti di rincorsa e i loro errori vorranno dire ridimensionamento e licenziamenti. Pure Ferrari ha in programma la supercar elettrica.
Aggiungi commento
Commenti