Parlo per me, ovviamente. Continuo a vedere la testardaggine di chi insiste nel fare, più o meno come mestriere, le foto ai concerti. Non ho intenzione di offendere i giovani o meno giovani entusiasti colleghi che - va detto - trattati come poveretti continuano a fotografare gli spettacoli musicali. I famosi "tre pezzi" da sotto il palco... Pardòn. Adesso, se va bene si lavora dal mixer, a cinquanta metri dallo stage, facendo del proprio meglio. Se va male non si fa nulla, mentre cinquantamila telefonini impazzano di megapixel. E questo è il primo problema.
Il secondo è economico. Se le attrezzature professionali hanno sempre costi altissimi, per contro le foto si vendono a pochissimo, combattendo sempre con gli uffici stampa che le offrono gratis ai giornali. Miserie di pochi euro. Un lavoro hobbistico per benestanti. Il terzo problema è quello che mi interessa di più: la qualità e il significato delle immagini dei "giovani talenti". Sono tutte trompe-l'oeil, ipercolorate, grandangolari, più interessate a giustificare le spese faraoniche degli allestimenti o sublimare cache sex francobollati sull' "artista" di turno. La musica, o presunta tale, non interessa più a nessuno.
Forse questa mia considerazione deriva anche dall'aver letto oggi nomi dei "big" al Festival di Sanremo, manifestazione che ho seguito dal 1978 al 2009. A parte alcuni lungodegenti che saltuariamente vengono ripoposti (molti sono amici che hanno già dato abbondantemente) il resto è marmaglia senza né arte né parte. D'altronde, è quanto offre il mercato, sempre più rionale.
L'emozione di un'immagine live, per me, è sempre nata da un insieme di sensazioni e abilità. Quando finisce la cronaca, diventa vera arte. Questo era molto vero prima del 2000, ai tempi delle diapositive e delle messe a fuoco manuali. Anche con il digitale c'è stato modo di creare dell'arte, però sempre in correlazione al livello di performance ancora decente sul palco.
Devo dire che non faccio queste considerazioni a cuor leggero, essendo la fotografia rock parte ormai cinquantennale della mia vita, di pari passo con il giornalismo (anch'esso oggi sottopagato o privo di qualsiasi interesse). Queste semplici considerazioni contribuiscono a spiegare, secondo me, la fine di uno dei tanti lavori creativi e intellettuali del Secolo scorso. Io, oramai, faccio solo pochi eventi in cui credo che possa accadere qualcosa... Ci sono alcuni vecchi amici e colleghi che si incaponiscono, e continuano, anche se in perdita, a perpetrare il rito dei lunghi viaggi in auto e i Camogli pagati oro, le attese, le poche o nulle soddisfazioni, le fatture non pagate, le tasse sproporzionate. Si sentono bisognosi di appartenere con tigna a un mondo che non esiste più. Purtroppo.
La mia foto: Patrizia Scascitelli al Festival Nazionale dei Giovani a Ravenna, nel luglio 1976. Quando una foto poteva essere anche rivoluzionaria.
Aggiungi commento
Commenti